Charles Bukowski, sui gatti


Non tutti sanno che Charles Bukowski, oltre ad amare follemente la scrittura, le
donne e l'alcool, amava i piccoli felini, un amore molto forte, che emerge in molte sue
 poesie e riflessioni. Come questa, tratta da un’intervista del 1987 a Interview Magazine:

Avere una banda di gatti intorno è bello. Se ti senti giù, basta guardare i gatti, e ti sentirai meglio, perché loro sanno che tutto è semplicemente come è. Non c’è nulla per cui eccitarsi. Loro lo sanno e basta. Sono salvatori. Più gatti hai, più vivrai. Se hai cento gatti, vivrai dieci volte di più che averne dieci. Prima o poi questa cosa verrà scoperta e la gente avrà migliaia di gatti e vivrà per sempre. È proprio una sciocchezza.”

E' con la moglie Linda Lee che può godere della compagnia di numerosi gatti, in una lettera a 
Louis Webb, a proposito di sé e della moglie, scriveva:

"I randagi continuano ad arrivare e non ce la sentiamo di mandarli via". "Dobbiamo smetterla però. 'Sti maledetti gatti mi svegliano presto alla mattina perché vogliono uscire... Ma sono animali meravigliosi e bellissimi. Matti scatenati".

Ovvio che non smettesse e che non potesse non amarli, ammirarli
"Sono i miei maestri"
dichiarava negli ultimi due versi de I miei gatti, che insieme a una serie 
di poesie e stralci di saggi e lettere si possono leggere in una raccolta di scritti, 
in gran parte inediti, o pubblicati su piccole riviste a tiratura limitata; 
tutti riproposti in una versione fedele ai manoscritti originali, 
Sui gatti appunto, pubblicato in Italia da Guanda (pag. 158).

I gatti, Bukowski vorrebbe chiamarli Ezra, Turgenev, Fëdor, 
ma alla fine i nomi lascia che li scelga la moglie e così diventano Ting, Ding, Beeker, Beauty... 
"manco un Tolstoj/ in tutto 'sto cazzo di/ gruppo" (La nostra gang).

Bukowski scriveva con loro accanto, li teneva sulle spalle, o sui tasti,
nelle sue nottate alcoliche e poetiche, aveva i mici che:
"corrono sui fogli dattiloscritti sparsi/ lasciandoli spiegazzati e con piccoli buchi sulla / carta.// poi/ saltano dentro allo scatolone delle lettere che ricevo dalla/ gente/ ma non rispondono, gli ho insegnato/ bene"
(Una poesia genuina per te).

 E così ironizzava su di sè e del suo romantico amore per i gatti:
"mio dio diranno, Chinaski scrive solo/ di gatti!/ mio dio dicevano prima, Chinaski scrive solo/ di puttane!". Ma "i lamentosi si lamenteranno e continueranno a comperare i miei/ libri: gli piace proprio come riesco a farli / incazzare".

Sappiamo che compiacere il lettore non era nel suo stile, proprio in modo simile a quello che 
accade per i gatti, meno compiacciono e più piacciono:  
"e a quei dannati gatti/ non importa/ proprio/ niente di niente./ E/ se gliene importasse/ non mi piacerebbero / neanche/ un po'/ le cose cominciano a perdere il loro/ valore naturale/ quando si avvicinano/ alle faccende/ umane" (Un gatto è un gatto è un gatto è un gatto). 
 Il gatto era la sua terapiacome la scrittura
"Quando sono dilaniato dalle forze, allora guardo uno dei miei gatti... Anche scrivere è il mio gatto. Scrivere mi permette di affrontare le cose". Il suo sogno era: "Nella mia prossima vita voglio essere un gatto. Per dormire 20 ore al giorno e aspettare di essere nutrito".
Li amava tanto, di un amore brutalmente onesto, e noi non possiamo che ringraziarlo 
per le riflessioni e gli scritti sui gatti che ci ha generosamente lasciato.

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